Road to Dingle

Road to Dingle

Venerdì

Aeroporto di Venezia

“Signora mi fa vedere il biglietto per favore?”
La signora porge il biglietto alla signorina in divisa che neanche la guarda.
“Ha il priority? Ha acquistato l’opzione priority?”
“No!”
“Allora deve tornare indietro al check-in signora, può portare il trolley in cabina solo con l’opzione priority altrimenti lo deve imbarcare in stiva.”

Fanno sempre così, sia le signorine dell’aeroporto, troppo fiscali, sia i passeggeri, incuranti delle linee guida.
Non lo sanno che basta applicare un piccolo trucchetto, imparato dopo anni di viaggi con compagnie low cost.
Basta andare in giro con lo zaino invece della valigia. Non serve che sia piccolo, io ho uno zaino da montagna molto più grande di alcuni trolley, ma è uno zaino, lo tieni in spalla e le signorine non ci fanno caso.

La fila sembra interminabile, i security check sembrano essere a chilometri di distanza.

Non sono in tanti a viaggiare da soli, ci sono coppie di fidanzati, amici, famiglie, e qualche singolo strano personaggio che però lo vedi, è in giro per lavoro, non in vacanza. La gente mica ci va da sola in ferie.

Ma io sono fatto così, sto bene con me stesso, nella mia solitudine.

Ne parlavo proprio stamattina con una mia amica. Quando sei da solo sei il padrone della tua vita, non hai orari da rispettare, non sei costretto a fare cose che non vuoi fare, non devi rendere conto a nessuno. Libertà!
Soprattutto nei viaggi, soprattutto se sono luoghi abituali.

Quando vado in luoghi in cui sono già stato e che conosco bene io ho i miei rituali, le mie abitudini, i miei “posti sacri”.

A Dublino per esempio, è la normalità per me prenotare sempre lo stesso ostello, lo Sky Backpackers, sulla sponda nord del Liffey, in quel vicolo che ormai chiamo casa, o andare a bere la prima pinta di Guinness in suolo irlandese sempre nello stesso pub, il Doyle’s, a sud oltre il fiume, e andare a mangiare la zuppa del giorno al Porterhouse.

Se fossi con qualcuno potrei farli tutti questi riti sacri per me? Non lo so, forse si, forse no, un giorno forse lo saprò.

Finalmente arrivo ai controlli, che supero senza problemi: prendi le cose dalle tasche dei pantaloni e mettile nella giacca, via la giacca, via la cintura, via gli occhiali e l’orologio, tira fuori i liquidi dallo zaino, metti tutto nella cassetta di plastica e passa sotto al metal detector.

Siamo nel 2020, ci si muove più in aereo che in macchina, e certa gente non sa ancora affrontare la procedura dei controlli di sicurezza di un aeroporto.

Mi fermo al duty free per comprare dei sigari da fumare in Irlanda, nei giorni prima di partire è stato tutto un po’ di corsa e mi sono dimenticato di prenderli, perciò devo prenderli qua.

Si, in Irlanda, è li che sto andando, la terra verde, del cielo blu e delle 4 stagioni in un giorno.
La terra delle scogliere, delle brughiere, dei porti, dei pub, della birra, della gente che parla ancora una lingua antica.
E passerò anche per Dublino, dove metterò in pratica i rituali descritti in precedenza.

Ora tocca al passaporto, presentare il documento, altrimenti mica ti fanno volare.
Vedo una donna spaesata al controllo automatico passaporti, che cerca di passare scansionando il biglietto aereo. La guardo, vedendo che è in difficoltà, lei si accorge, mi guarda e mi fa:
“Non capisco niente, cosa devo fare?”
“Adesso tocca al documento signora, qui controllano il documento.”
Forse lei con la parola ‘documento’ intende ‘biglietto’ infatti continua a provare a passare quello sotto il lettore di passaporti.
“No signora, deve presentare il documento.”
E lei:
“Ah! La carta d’identità?”
“Si esatto, ma se ha la carta d’identità deve recarsi all’altro banco di controllo, qui è per i passaporti.”
“Grazie!”
Effettivamente in certi aeroporti la segnaletica lascia molto a desiderare.

Per fortuna il tabellone delle partenze annuncia che il volo è in ritardo, perché quando arrivo al gate 5 hanno già imbarcato quasi tutti i priority. Poco male, io il priority mica ce l’ho, altrimenti arrivavo col trolley.

Ed è qui che secondo me inizia il vero viaggio.
Si, anche in aeroporto, con tutte le sue procedure, ti esaltano perché dopo mesi passati a fare la spola tra casa, lavoro e bar del paese finalmente pregusti qualche giorno di evasione dalla quotidianità.
Ma è qui, quando passi il gate, fai le scale che portano alle piste e esci all’aria aperta che infine dici “ci sono, il mio viaggio ha inizio”.

Quando volo io ho delle fissazioni, una specie di riti sacri descritti in precedenza.
Per esempio non lascio che il sistema mi assegni un posto casuale, io il posto me lo prenoto, io voglio sedermi al 33C, ultima fila posto corridoio a sinistra.
Ultima fila perché dietro non hai nessuno, sono tutti davanti a te, tu puoi vedere tutti e nessuno vede te, e poi sei vicino alle hostess se hai bisogno di qualcosa durante il volo.
Posto corridoio perché hai più libertà di movimento, e poi quello che si vede dal finestrino è sempre la stessa cosa.
Oppure altra fissazione è prendere un whisky durante il volo. Oltre al fatto che io il whisky lo amo, mi da la carica ed è la giusta dose che deve avere lo stomaco per affrontare il volo.

In aereo

Salgo, prendo posto al 33C accanto a una signora inglese (o irlandese a questo punto). Lo capisco perché sbircio i messaggi che sta scrivendo e sono tutti in inglese.
L’aereo sembra pieno, guardo avanti e vedo solo pochi posti liberi. La voce all’altoparlante annuncia “boarding complete“.
Una coppia con una figlia piccola chiede informazioni alla hostess.
Chiudono le porte e dopo le solite spiegazioni sulle procedure di sicurezza l’aereo parte.

Ovviamente, come sempre, io mi addormento. Vengo svegliato dal carrello delle vivande che va a sbattere contro la mia spalla. Mi riaddormento ancora un po’ ma una leggera turbolenza decide che ci sarà tempo stanotte per dormire.
Mi guardo intorno, tutto tranquillo, normale, mi ordino il classico whisky, delle patatine, e il viaggio fila via che è un piacere.

La signora del 33D, il posto corridoio di destra, di fianco al mio, vede che ho la bottiglietta di whisky e mi chiede quanto costa.
“6 euro signora.”
“Ok, grazie.”
“Prego. Ce ne sono altri nel menu oltre a questo se vuole.”
“Ah ce ne sono altri. No ma mi piace la bottiglietta così piccola.”
Questa signora mi piace. Sarà sulla 50ina ma sembra proprio in gamba e giovanile, infatti si ordina il whisky e se lo beve.

Dopo un paio d’ore dalla partenza la voce della hostess, quella più carina, annuncia al microfono che atterreremo tra 10 minuti.

Il mio whisky è finito, controllo la signora di fianco e sta bevendo l’ultimo sorso del suo.
La guardo e le dico:
“Scusi signora, se vuole anche la mia bottiglietta gliela regalo, altrimenti io la butto via.”
“Oh grazie mille ma tienila tu dai, io ha già questa.”
“No ma io ne ho altre 3 o 4 a casa, questa la butto via se non la vuole lei.”
“Beh allora se è così la prendo io, grazie.”
“Si figuri, di dov’è?” le chiedo.
“Io sono di Pordenone, e tu?”
“Zona Alpago, Tambre.”
“Ah Tambre! Lo conosco!”
“Eh si, tra l’altro Tambre confina con Pordenone.”
“Si è vero” annuisce “ci si può arrivare anche da Piancavallo.”
“Si esatto esatto…è la prima volta che va a Dublino?”
“Si è la prima volta. In realtà è anche la prima volta che prendo un aereo di linea.”
“Davvero?”
“Si” mi fa lei “perché ho viaggiato altre volte in giro per l’Europa ma tra una cosa e l’altra sempre in macchina o in treno. Quindi non so neanche dire come sia stato il volo.”
“Mah, niente di che, tutto tranquillo, solo un po’ di turbolenza a un certo punto ma per il resto tutto normale.”
Parlo troppo presto. L’aereo inizia ad andare di qua e di la. Guardo la signora e dico:
“Forse ho parlato troppo presto.”
Si mette a ridere.

Fuori c’è un vento spaventoso. L’aereo è a pochi metri da terra ma continua a muoversi a destra e a sinistra.
Per fortuna finalmente tocchiamo la pista. Siamo atterrati.
Siamo in terra irlandese.

Prima di scendere saluto la signora e le auguro buona permanenza a Dublino.
Chissà, magari ci rincontreremo per le vie del centro.

Aeroporto di Dublino

Sono di nuovo in aeroporto, altri controlli di sicurezza mi attendono.

Arrivo al controllo automatico passaporti e vedo con piacere che non c’è molta fila, come spesso accade negli aeroporti di Londra per esempio.
Tocca al ragazzo davanti a me ma quando mette il passaporto sullo scanner esce un errore. Riprova un po’ di volte ma sempre uguale.

Una delle cose che mi danno più fastidio è questa, la gente che non sa passare il controllo passaporti.
E’ la cosa più semplice del mondo: passaporto sullo scanner, guarda la telecamera, aspetta l’ok ed è fatta.
Infatti quando tocca a me esco senza problemi.

Sono fuori, sono finalmente nella città che preferisco al mondo, Dublino.

Ora, l’aeroporto di Dublino è un po’ fuori città e il modo più semplice di arrivare in centro è sicuramente l’autobus che si chiama Aircoach.
Primo perché è veloce, in 30 minuti sei in città, secondo perché parte dalla fermata appena fuori dall’uscita dell’aeroporto, sulla sinistra, e terzo perché ti porta dritto a O’Connell Street, una delle vie principali di Dublino.

Dopo aver detto all’autista che ho una reservation salgo sul bus e me ne vado.

A Dublino

Insomma, appena scendo dal bus in O’Connell Street mi guardo intorno e mi si apre il cuore.
Ancora una volta ci sono.

Nei miei viaggi, se viaggio da solo, per spostarmi in città preferisco camminare piuttosto che usare i mezzi pubblici o il taxi. Camminando vedi meglio le cose che ti circondano, che altrimenti all’interno di un veicolo non noteresti.

Mi dirigo a sud, verso l’ostello che ho prenotato.

Purtroppo il mio ostello di fiducia era già pieno giorni fa, quindi ho dovuto ripiegare su un’altra struttura.

Fatalità lungo la strada che devo percorrere per arrivare all’ostello si trova il Doyle’s, il pub in cui sono solito bere la prima birra, dunque mi fermo senza remore.
Il pub è affollato a quest’ora (le 19.00 circa) ma riesco a trovare un buco libero al bancone e ordino una Guinness, tenendo fede alla mia tradizione.

Ora si che posso dirigermi in ostello, che scopro essere sopra una pizzeria gestita da indiani.
Purtroppo quando ho scelto ho pensato solo al budget e quindi, ecco, diciamo che quello non era un posto che eccelleva per la pulizia!

Il tipo alla reception mi da le chiavi e mi dice il numero di stanza. Vado a mettere lo zaino in camera, una camera da 6 con 3 letti a castello, ed esco in direzione Temple Bar per mettere qualcosa sotto i denti.
Il Porterhouse mi sembra un’ottima scelta per la cena, è un pub che si autoproduce la birra, è molto grande, su vari piani, e con una buona cucina.

Decido che prima di mangiare mi faccio un giretto per le vie di Temple Bar, così, per ripagarmi della nostalgia avuta finora.
Il problema è che quando passo davanti al Quay’s, il locale che si affaccia sulla piazzetta, sento la musica che stanno suonando dal vivo all’interno, quindi non ci penso due volte ed entro.

Una pinta lì, una al Temple Bar, ed è subito il declino.

Non ho molti ricordi di quella sera, so solo che ho cenato due volte in due locali diversi e che dopo la prima cena ho iniziato col whisky.
L’Irlanda è una delle patrie del whisky, come si fa a non farle onore?!